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Ricordiamo Giuseppe Fanin di Nicola Govoni



Giuseppe Fanin fu barbaramente assassinato la notte fra il 4 e il 5 novembre 1948 (70 anni fa), nei pressi di San Giovanni in Persiceto, mentre rincasava.

LA FIGURA DI FANIN
La casa dove nacque Giuseppe Fanin, l’8 gennaio 1924 e dove visse la sua breve vita, è un edificio tipico della bassa bolognese che si trova in località Tassinara, nel comune di S. Giovanni in Persiceto. La casa e l’appezzamento di terreno (25 ha) furono acquistati nel 1910 da Giovanni Fanin, nonno di Giuseppe, quando la famiglia dei Fanin si trasferì da Sossano Vicentino nel persicetano.
Giuseppe, finite le elementari, entrò in seminario e ne uscì un anno e mezzo dopo. Frequentò le scuole di “Avviamento”, poi si iscrisse all’Istituto Agrario di Imola conseguendone il diploma. Quindi si iscrisse all’Università di Bologna, fece parte della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e fondò la sezione “Fucina” di S. Giovanni in Persiceto; si laureò in Agraria nel 1948. La famiglia Fanin era molto religiosa e Giuseppe crebbe con il “timor di Dio” in un ambiente dove la cultura cattolica era “prima di tutto”. Trascorse la sua vita fra casa, scuola, chiesa e impegno sociale. Da buon cristiano frequentò la parrocchia, servì messa e puntualmente partecipò agli esercizi spirituali.
Appartenne all’Azione Cattolica e svolse l’attività richiesta dal movimento.
Intanto, dopo aver conseguito la laurea, era necessario mettere a frutto gli studi fatti; Fanin era figlio di contadini, nel tempo libero lavorò nei campi e quindi conobbe la fatica e le problematiche legate a quel duro lavoro. La decisione fu immediata: avrebbe dedicato la propria vita per migliorare la condizione di vita dei braccianti e dei contadini. Già dal 1946 aveva aderito alle ACLI (Associazione Cristiana Lavoratori Italiani) e nel 1948 gli fu affidato l’incarico di segretario provinciale delle ACLI-Terra con il compito di svolgere l’azione sindacale tra i lavoratori dei campi dei “centri” della pianura a ponente e a nord di Bologna (Crevalcore, Palata, Decima, Persiceto, S. Agata, Sala Bolognese, Cento, Pieve di Cento, Castel d’Argile, Galliera, S. Pietro in Casale, Argelato, S. Giorgio di Pisano, Zola, Bazzano, Crespellano).
Un compito arduo che consisteva nell’organizzare i gruppi dei contadini e braccianti, nel selezionare e formare i quadri/responsabili del libero sindacato, nell’affrontare le questioni tecniche del settore agricolo, nell’impostare azioni innovative e costruttive coerenti con la dottrina cristiana. Si interessò, innanzitutto, del problema dei contratti agrari e in particolare della riproposizione del contratto di compartecipazione individuale: un programma teso a migliorare le condizioni di vita dei braccianti.
Il salariato agricolo, con l’applicazione del suo patto, sarebbe stato interessato al risultato della produzione, in quanto la sua retribuzione non sarebbe più stata costituita da un salario
fisso, ma sarebbe diventato proporzionale al reddito dell’azienda. Nei vari mesi di studio di questo progetto consultò tecnici, commissioni di braccianti, professori della Facoltà Universitaria di Agraria. Terminata la consultazione iniziò le trattative con l’Associazione degli agricoltori per indurli ad accettare le clausule più avanzate.
Tutto era pronto per il collaudo del nuovo patto, osteggiato ovviamente dalla Sinistra, che doveva proporre ed illustrare nel Congresso di Molinella il 7 novembre…
Intanto, parallelamente, dopo la rottura dell’unità sindacale, si dedicò alla costituzione dei sindacati liberi nei vari comuni, stabilito nel Congresso Nazionale delle ACLI nel settembre del 1948. Il 24 ottobre a S. Giovanni in Persiceto fu costituito il sindacato libero il cui “Comitato esecutivo provvisorio” invitò i datori di lavoro ad una riunione che si sarebbe tenuta il 27 ottobre. Il 26 ottobre, vigilia dell’incontro programmato, la Camera del Lavoro Lega Braccianti di Persiceto divulgò un volantino nel quale Fanin, Bertuzzi, Ottani venivano etichettati come “servi sciocchi” degli agrari. Nel volantino vennero ricusati sia il Sindacato libero, sia il patto di “compartecipazione individuale”. Inoltre venne pesantemente criticata la rottura del “collocamento unitario”. Enrico Bonazzi, esponente del PCI e consigliere nel comune di Bologna, nel comizio tenuto a S. Giovanni in Persiceto il 5 novembre, affermò:
“Noi l’avevamo più volte diffidato (Fanin ndr) a non proseguire lungo la via della scissione…”

LA REALTA’ DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO
S. Giovanni in Persiceto, piccola cittadina della pianura a nord-ovest di Bologna, nel dopoguerra contava una popolazione di circa 22.000 abitanti ed era un centro prevalentemente agricolo; il 60% della “forza lavoro” era impegnato in agricoltura, mentre una consistente “fetta” di lavoratori, il 22%, trovava impiego nel settore secondario: lavorazioni tessili connesse alla lavorazione della canapa e produzione di letti e mobili in ferro (Cooperativa Operai metallurgici, ditta Lodini, Ghibellini, ecc.). Negli anni della ricostruzione aveva indici elevati di arretratezza, condivisa, fra l’altro, con tanta parte della pianura: 4 case su 5 non avevano acqua potabile né servizi igienici e mancavano quasi tutte le fognature.
La campagna era inoltre priva di risorse sufficienti a dare lavoro all’elevato numero di braccianti residenti. L’Amministrazione comunale era retta da una giunta social comunista.
La terra persicetana è sempre stata caratterizzata da lacerazioni politiche, da lotte agrarie, in particolare del mondo bracciantile, culminate, ad esempio, nel corso della dura vertenza colonica dopo la prima guerra mondiale, nell’eccidio di Decima del 1920 (i carabinieri spararono durante un comizio provocando 8 vittime e alcune decine di feriti); ci fu in seguito una diffusa opposizione al fascismo, che aveva soppresso le leghe, le libere organizzazioni sindacali ed il controllo, attraverso il collocamento, sul reclutamento dei lavoratori.
Nel dopoguerra, il 22 giugno 1949, durante uno sciopero dei braccianti che lavoravano nella tenuta Lenzi di Persiceto, Loredano Bizzarri, giovane ventiduenne calderarese, venne ucciso,
dal fattore di quella tenuta, a colpi di pistola.
Una terra insanguinata, quella persicetana, per i duri scontri ideologici, per interessi primari e per la violenza politica e di classe…

“LA CARNE INFRANTA”
Il 4 novembre 1948, festa nazionale per la vittoria del 1918, Giuseppe Fanin si recò a Persiceto due volte: in mattinata e nel tardo pomeriggio per assistere, assieme alla fidanzata Lidia Risi, alla proiezione del film “I migliori anni della nostra vita”, ma essendo la sala stracolma, i due fidanzati decisero di recarsi a casa di Lidia. Il mattino dopo, come sempre, Giuseppe doveva recarsi a Bologna con il treno delle 6,30, quindi alle 21,40 salutò la fidanzata e poi, in bicicletta, si avviò verso casa. La strada era deserta; in quel periodo era abbastanza pericoloso girare di notte da soli.
Quando Fanin imboccò la via Biancolina, una persona in bicicletta lo affiancò e chiese chi era.
Appena Giuseppe rispose “Sono Fanin” questi gli vibrò un primo colpo alla testa. Fanin allora scese dalla bicicletta e tentò di tornare indietro verso Persiceto, coprendosi il capo con le mani e gridando aiuto. Intanto erano sopraggiunti altri due attentatori; “Una follia orribile, bestiale travolse allora gli assassini. Mentre due lo percuotevano con calci e pugni, l’altro, con violenza selvaggia continuò a picchiare sul capo spezzando le ossa, penetrando nel cervello, tre, quattro, cinque volte… Quando la tremenda follia fu placata, gettò la sbarra oltre la siepe e insieme ai complici si dileguò nel buio”.

+Con la notizia di questo omicidio politicosindacale, San Giovanni in Persiceto ebbe un risalto non solo locale, ma nazionale; per tutto il mese di novembre molti giornali a tiratura nazionale si interessarono al caso. Nell’edizione del 6 novembre la stampa così si espresse nei titoli: “Selvaggiamente trucidato a furia di percosse un giovane dirigente dei sindacati liberi” (Il Giornale dell’Emilia); “Nefando crimine a San Giovanni in Persiceto: culminata con un assassinio la lotta contro i liberi sindacati” (Avvenire d’Italia); “Truce delitto a San Giovanni in Persiceto” (Il Progresso d’Italia); “Non si speculi sul crimine di un provocatore-Tutti i democratici deplorano l’uccisione del dott. Fanin” (L’Unità);
Nella cronaca: “Selvaggiamente trucidato a furia di percosse un giovane dirigente dei sindacati liberi” e in prima pagina: “Il Fanin era stato bastonato dopo l’attentato all’On. Togliatti” (Il Giornale d’Italia). Quest’ultimo titolo risultò non veritiero in quanto Fanin in occasione dell’attentato dell’On. Togliatti fu solo minacciato.
Sempre il 6 novembre furono pubblicati manifesti e votate mozioni deplorative da parte dei seguenti partiti ed organizzazioni: Segreteria provinciale della DC; sezione persicetana della DC; Azione Cattolica; Comitato ACLI; Comitato CIF (Centro Italiano Femminile di Bologna); Gruppi femminili DC; Gruppi giovanili DC; Partito Liberale, Partito Repubblicano, ecc.
Sul “fronte” del luttino, distribuito il giorno del funerale, fu riportata la seguente frase: “Muore la carne infranta, resta immortale lo spirito e l’idea”.

Assassinio Giuseppe Fanin Giornali 05
Assassinio Giuseppe Fanin Giornali 04
Assassinio Giuseppe Fanin Giornali 03
Assassinio Giuseppe Fanin Giornali 02
Assassinio Giuseppe Fanin Giornali 01

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Questo manifesto fu affisso nella bacheca della sezione DC di Decima un mese dopo l’assassinio di Giuseppe Fanin

Trascrizione del testo del manifesto
È trascorso un mese dall’agonia di Giuseppe Fanin. La giustizia di Dio, e quella degli uomini hanno raggiunto gli autori dell’orribile misfatto! A un mese di distanza dal suo sacrificio, noi ritorniamo ancora a inchinarci davanti al suo corpo martoriato e preghiamo, per lui e per noi! Possa (ci auguriamo), un delitto tanto grave aprire finalmente gli occhi a tanti che, (ancora in buona fede) si illudono di poter essere degli onesti, dei civili e dei cristiani, e convivere, parteggiare e favorire chi comanda, insegna e compie simili orrori. No! Davanti al cadavere di Fanin non è più possibile la buona fede in certo sistemi e metodi. Deve assolutamente cessare per sempre! Perché deve chiaramente apparire a tutti che quando le azioni degli uomini sono arrivate a questo limite debbono avere per ispirazione soltanto la malvagità, la bestialità, e la violenza brutale, non il vivere civile, ne’ umano, ne’ tanto meno cristiano. E ciascuno deve prendere con conoscenza piena al di qua e al di là di quel limite le proprie responsabilità o di onosto o di assassino!
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IL FUNERALE

Il 7 novembre a S. Giovanni in Persiceto circa diecimila persone confluirono in piazza del Popolo per i funerali di Giuseppe Fanin. Una gran folla si riversò nelle piazze e nelle strade fin dalle prime ore del mattino per portare l’estremo saluto allo scomparso. Un treno speciale affollatissimo era partito da Bologna e numerosi furono i pullman giunti da ogni parte d’Italia. Il corteo funebre si compose alle ore 10 per recarsi alla Chiesa del Crocifisso, dove la salma era stata posta al centro della chiesa fin dal pomeriggio del giorno prima, vegliata nella notte dagli studenti della FUCI e dagli amici dell’Azione Cattolica. La salma era stata lasciata intenzionalmente scoperta a testimonianza dell’inaudita ferocia degli assassini.
Dalla chiesa partì il corteo che percorse, tra la folla anonima, muta e commossa, le vie cittadine fino alla Collegiata dove il Vescovo Mons. Dario Bolognini celebrò la messa. La bara, portata a spalla dagli amici intimi, era seguita dai parenti, dagli studenti universitari, dalle autorità e dal popolo. Dopo la messa la bara venne collocata al centro della piazza tra una marea di bandiere della DC, delle ACLI e dei sindacati liberi, circondata dall’affetto della folla silenziosa.
Presero quindi la parola diverse personalità, in rappresentanza della DC, delle ACLI, dell’Azione Cattolica, ecc., per deplorare severamente il gesto criminoso, senza chiedere vendetta ma solamente giustizia. Intanto le forze di Polizia si erano mosse fin dal primo momento e già il giorno 7 novembre avevano sottoposto a custodia cautelare diverse persone.

INDAGINI ED ARRESTO DEGLI ASSASSINI
Le indagini proseguivano con assiduità e tenacia al fine di riuscire, al più presto, ad individuare gli autori del delitto. Dal 5 al 24 novembre alcune decine di persone furono sottoposte a provvedimento di custodia cautelare. Nella stragrande maggioranza i fermati erano braccianti (tra cui diversi quadri sindacali) o salariati agricoli, tutti iscritti al PCI; fra i fermati compariva anche il nome di Gino Bonfiglioli, segretario della sezione Marzocchi del PCI di S. Giovanni in Persiceto.
Nella notte del 24 novembre furono prelevati dalle loro case Gian Enrico Lanzarini, Renato Evangelisti, Indrio Morisi, tutti di S. Giovanni in Persiceto, che assieme a Gino Bonfiglioli confessarono di aver assassinato Giuseppe Fanin.
In base agli interrogatori il comando della legione dei carabinieri di Bologna ricostruì la fase preparatoria ed esecutiva del delitto; fu Gino Bonfiglioli ad affidare l’incarico a Gian Enrico Lanzarini “di dare una lezione a Fanin” fornendo, nel contempo, indicazioni sul luogo in cui sarebbe stato facile incontrarlo. Fissò inoltre la data del 4 novembre poiché riteneva necessario
che la lezione precedesse la riunione dei sindacalisti fissata per il giorno dopo, presso il locale canapificio. Lanzarini “invitò” Indrio Morisi e Renato Evangelisti, anch’essi iscritti al PCI, ad associarsi nell’impresa. Le modalità esecutivi avvennero come precedentemente sono state descritte, anche se le versioni dei tre esecutori materiale del delitto discordarono lievemente per alcuni particolari.
La notizia dell’arresto dei responsabili del delitto Fanin fu appresa dai persicetani dalla radio e confermata dall’edizione serale del giornale “Il Pomeriggio” che riportò, in prima pagina un lungo articolo così titolato: “Arrestati e confessi gli assassini di Fanin – Mandante il segretario del PCI di Persiceto – Esecutori tre braccianti comunisti – La brillante operazione dei carabinieri”.

IL PROCESSO
Il processo si svolse dal 15 al 22 novembre 1949, in un’aula del tribunale dell’Aquila alla presenza, fra l’altro, di tutta la stampa nazionale. Dopo sei ore di camera di consiglio nel tardo pomeriggio del 22 novembre la Corte d’Assise emise infine la sentenza.
La corte dichiarò “Bonfiglioli Gino, Lanzarini Gian Enrico, Evangelisti Renato e Morisi Indrio colpevoli del delitto di omicidio premeditato aggravato”, ma riconobbe le attenuanti generiche per tutti e quattro, così che Bonfiglioli e Lanzarini vennero condannati “alla pena di 23 anni di reclusione per ciascuno” ed Evangelisti e Morisi “alla pena di 21 anni di reclusione per ciascuno”.
Le spese processuali complessive a carico dei condannati vennero fissate in 623.900 lire; il risarcimento dei danni fu stabilito simbolicamente, come richiesto dalla parte civile, in una lira per ciascun componente della famiglia Fanin. La pena inflitta non venne scontata per intero. Bonfiglioli e Lanzarini rimasero reclusi per circa 17 anni, di cui tre in regime di libertà vigilata; Morisi ed Evangelisti per circa 15 anni, di cui tre di libertà vigilata. Una delle ragioni dello sconto della pena, oltre alla buona condotta, è da attribuire al perdono concesso dalla famiglia Fanin.

FONTI
AA.VV., Giuseppe Fanin martire della libertà del lavoro, Bologna, 1948
AA.VV., Giuseppe Fanin – Seconda edizione, Bologna, 1949
A. Albertazzi, Per Giuseppe Fanin, 1924-1948. Documenti, Bologna, 1987
AA.VV., Giuseppe Fanin, testimone della fede nella politica, supplemento a “La discussione”, Roma, 1988 F. Gasparrini, La strada di Giuseppe Fanin, Bologna, 2004
G. Travisi, Il delitto Fanin, Bologna, 1998
AA.VV., 30 anni della nostra storia, Milano, 1983
Quotidiani, periodi e riviste: Il giornale dell’Emilia, Il Giornale d’Italia, Il Progresso d’Italia, L’Avvenire, L’Unità, Il Pomeriggio, Il Resto del Carlino, L’Apricittà (Acli), Conquiste (MCL), Oggi, Candido.

Questo testo è la tesina che l’autore ha presentato all’esame di maturità e che è stato pubblicato nel libro di Floriano Govoni,
“48 l’anno della Costituzione italiana”, Ed. Marefosca, 2008.

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